Questa foto ha evocato nei giurati questi pensieri che vado a trascrivere:
''Abitare significa anche transitare da luoghi che non ti appartengono ai tuoi luoghi o a luoghi che ti accolgono e ti riconoscono. Abitare è anche gestire le soglie, i luoghi di transito tra l'andare e lo stare. Ma lo stare non poche volte è affastellamento. Abitazioni che si addensano l'una sull'altra, ammassate in un comune contenitore condominiale.
Ognuno ha il proprio accesso sperduto per i piani, ma gli accessi molteplici convergono inun ingresso comune, in questo caso l'ascensore che potrebbe rappresentare un punto dell'abitazione per il noi. In reraltà esso non è una postazione di incontro ma un non luogo.
La foto lo esprime con un linguaggio duro: una lamina prospettica di luce insidiata da campi abbuiati e tramature di tralicci, portali arringhierati, e tramati di inferriate. Non si accede pertano ma ci si imprigiona dentro una propria segreta, sapendo che complessivamente si è un noi, ma un noi che non vive insieme, un noi negato.
e l'abitare del noi negato alimenta una solitudine vinta da griglie e sbarre entro cui la luce si infila come un residuo. Un fuori libero che dentro non c'è.''
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